Dal 1° gennaio 2026 entrerà in vigore il previsto aumento delle pensioni, stabilito dal decreto del 19 novembre 2025.
Si tratta dell’ormai consueta perequazione annuale volta ad aggiornare gli assegni pensionistici in base all’inflazione, con una percentuale fissata per il 2026 all’1,4%, in aumento rispetto allo 0,8% del 2025.
Tuttavia, come evidenziato dagli studi tecnici degli uffici Previdenza della CGIL e dello SPI CGIL, questo incremento rischia di essere fortemente eroso dal carico fiscale, in particolare da Irpef e addizionali regionali e comunali, riducendo drasticamente il beneficio netto per i pensionati.
L’intento alla base dell’aumento pensioni 2026 è quello di mantenere il più possibile il potere d’acquisto delle prestazioni previdenziali, duramente compromesso dall’inflazione elevata che ha caratterizzato il biennio 2022-2023. Le fasce più vulnerabili, che destinano la maggior parte del reddito a spese essenziali come alimentari, utenze e sanità, avrebbero bisogno di un sostegno più incisivo. L’adeguamento dell’1,4% coinvolge quasi tutte le pensioni, ma l’analisi svolta da CGIL e SPI CGIL sottolinea come, dopo la tassazione, l’aumento reale percepito sia spesso simbolico.
Il meccanismo di rivalutazione è progressivo e suddiviso in tre fasce:
- Adeguamento al 100% dell’1,4% per pensioni fino a quattro volte il minimo INPS.
- Adeguamento al 90% per pensioni tra quattro e cinque volte il minimo.
- Adeguamento al 75% per pensioni superiori a cinque volte il minimo.
Tale sistema mira a tutelare maggiormente le pensioni più basse, riducendo gradualmente la rivalutazione per gli assegni più elevati.
Gli esempi concreti: incrementi minimi e tassazione che diluisce i benefici
Gli uffici tecnici del sindacato pensionati della CGIL hanno elaborato esempi pratici per mostrare l’effetto reale degli aumenti pensionistici 2026. I risultati fotografano una situazione critica:
- Una pensione minima, che nel 2025 era di 616,67 euro, passerà a 619,79 euro nel 2026, con un aumento di appena 3,12 euro al mese.
- Una pensione netta di 632 euro salirà a 641 euro, con un incremento di soli 9 euro mensili.
- Un assegno da 800 euro netti aumenterà di 9 euro, passando da 841 a 850 euro netti.
- Una pensione netta di 1.000 euro registrerà un aumento di appena 11 euro mensili.
- Per un assegno lordo di 1.500 euro, l’aumento effettivo dopo tasse e addizionali sarà intorno ai 17 euro mensili.
Questi dati evidenziano come, pur in presenza di un aumento nominale, il potere d’acquisto dei pensionati non venga effettivamente recuperato, con una perdita reale che continua a pesare soprattutto sulle fasce più basse.

L’incidenza fiscale e le richieste della CGIL e dello SPI CGIL (www.wemusic.it)
Il nodo più critico è rappresentato dall’erosione dell’aumento pensioni da parte di Irpef e delle addizionali locali, che assorbono una quota significativa della rivalutazione. La segretaria confederale della CGIL, Lara Ghiglione, e il segretario nazionale dello SPI CGIL, Lorenzo Mazzoli, hanno ribadito la crescente difficoltà economica affrontata da milioni di pensionati in Italia. Essi sottolineano che non solo non si recupera il potere d’acquisto perso negli ultimi anni, ma che la situazione rischia di aggravarsi, impoverendo ulteriormente chi vive con redditi già insufficienti.
Le organizzazioni sindacali chiedono pertanto interventi strutturali e non semplici aggiustamenti di facciata. È necessario un sistema previdenziale e fiscale che tenga conto in modo adeguato del costo reale della vita e dell’impatto delle imposte sui redditi pensionistici. Solo una riforma complessiva potrà garantire una stabilità economica e una dignità adeguata a chi è in pensione.
L’inadeguatezza dell’aumento pensioni 2026 di fronte all’inflazione (www.wemusic.it) 






